28 Aprile 2021

Calendarizzato Ddl Zan, ma rischia di emarginare donne ed LGBT, le femministe tuonano: “Non siamo una minoranza”

Calendarizzato Ddl Zan, ma rischia di emarginare donne ed LGBT, le femministe tuonano: “Non siamo una minoranza”

Da giorni i nostri occhi sono invasi da immagini raffiguranti palmi di mani aperte verso la fotocamera del cellulare con sopra scritto a pennarello nero DDL Zan, corredate dall’hashtag #diamociunamano.

Poche ore fa, in commissione Giustizia al Senato si è votato a favore della calendarizzazione del controverso Ddl Zan, seppur ancora non sia stata fissata la data.  

Chi sono gli sponsor del DDL Zan?

Prevalentemente influencer, cantanti, personaggi dello spettacolo, una parte del mondo LGBT, soprattutto giovani e adolescenti e politici di sinistra, of course. Eccetto il segretario del Partito Comunista Marco Rizzo, che si pone dalla parte dei detrattori. L’esponente del partito di sinistra più longevo fra gli attuali presenti in Italia, pensa che il disegno di legge in oggetto sia un’arma di distrazione di massa da problemi sociali più spinosi e difficilmente risolvibili per il Governo, come le grandi aziende costrette a dimezzare i propri dipendenti e il ceto medio sempre più proletarizzato.

Fra i sostenitori a cinque dita, ha sorpreso la presenza dell’ex europarlamentare di destra Alessandra Mussolini, che per molti ha avuto una folgorazione sulla via di Damasco dopo la sua partecipazione a Ballando con le Stelle, il programma Rai condotto da Milly Carlucci.

Fra i militanti del No ci sono i “conservatori”, da Simone Pillon a Giorgia Meloni. Ma anche una porzione di femministe importante, corrispondente alle aderenti di circa 17 associazioni in Italia.

“Una legge liberticida che è come un insulto al femminismo”, afferma la scrittrice ed attivista per le donne Marina Terragni, evidenziando il fatto che l’autocertificazione di genere prescinde dall’apparato genitale e che le donne, trattate come una minoranza confusa nel Ddl Zan, sono invece la maggioranza del paese.

Contro anche una grossa quantità di Lgbt fra cui molti imprenditori e professionisti; poi, una sparuta quantità di personaggi dello spettacolo dissidenti. Platinette, senza ombra di dubbio:

“Negli anni ’70 mi esibivo con un gruppo di travestiti da tregenda e mi tiravano addosso i pomodori al Festival dell’Unità. Un’epoca in cui la sinistra aveva altri protetti da coccolare, prima di passare recentemente a gay e immigrati. In quegli anni, la discriminazione verso i “diversi” era palpabile. Ma ora la battaglia è vinta. Non per essere omosessuali, bensì per quello di essere come ti pare. Tutto, dai mass media alle multinazionali, fa a gara per adeguarsi alle istanze Lgbt e politicamente corrette. Ormai, sono gli etero a essere discriminati”, afferma la drag queen in un’intervista per Libero. 

Cos’è il DDL Zan, nella sua interezza? 

Il testo del disegno di legge è il risultato dell’unificazione di diversi disegni di legge ed è stato approvato alla Camera il 4 novembre 2020 con 265 voti a favore contro 193 contrari. Poc’anzi si è deciso per la calendarizzazione di esamina in commissione Giustizia del Senato, non senza conseguenze di fratture all’interno di una maggioranza già molto precaria.

“In questo momento, l’Italia tutta ha bisogno di pensare alla salute e al lavoro. Non è il caso di discutere ora su tematiche divisive”, aveva detto giorni fa attraverso una diretta Facebook Simone Pillon, sostenendo la necessità di altri bisogni primari in un contesto emergenziale sanitario ed economico come l’odierno.

Dal titolo, il DDL mette d’accordo ogni individuo dotato di ragionevolezza e una dose di empatia e civiltà alquanto comuni: “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.

Ma è il caso di analizzare alcuni fra i punti più rappresentativi di dieci articoli.

Partiamo dall’art.1, al punto d) che recita “per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.”

Ciò vuol dire che chiunque si autocertifichi come donna o uomo, inclusi adolescenti presi da turbe ed incertezze plausibili e spesso temporanee per la sua età verrebbe posto sullo stesso piano in temi di diritti di chi invece ha fatto un percorso lungo e sofferto di medicalizzazioni e cambio di sesso. Insomma, un pensiero fluid varrebbe lo stesso di un’identità faticosamente ricercata, inseguita, trovata dopo molti anni, a leggere l’articolo di esordio del disegno di legge.

Nella porzione di mondo in cui il genere “percepito” diventa predominante rispetto alla specificità biologica, come vorrebbe il Ddl Zan, succede che le atlete condividono docce e spogliatoi con chi vuol essere considerato donna ma possiede organi sessuali maschili; che i trans gareggianti con le donne nello sport pongono queste ultime in netto svantaggio a causa del tessuto scheletrico connettivo, apparato cardiocircolatorio, carica agonistica e aggressività che in un corpo maschile sono comunque superiori rispetto a un corpo femminile.

Inoltre, come evidenziato su Panorama, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna è successo che detenuti maschi dichiaratisi trans hanno chiesto e ottenuto l’accesso alle carceri femminili, col risultato di violenze sessuali subite dalle donne.

Questo punto è senz’altro fra i più critici del disegno di legge contro l’omotransfobia.

All’art.2 e all’art.3, quasi tutti i punti riguardano aggiunte su alcune parti dell’art.604-bis del codice penale, ovvero la Propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa. L’aggiunta in questione riguarda le parole «oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità» intendendo l’allargamento delle ragioni dei reati punibili.

Il dubbio è comune:

“E se mi dico contro le adozioni per coppie omosessuali?”, “E se affermo che mi fa orrore l’idea dell’utero in affitto, dove povere donne del terzo mondo vendono i loro bambini appena nati a uomini e donne ricche, dopo averli tenuti in grembo nove mesi?

Fino a che punto sarà osteggiato con multe e galera il ribrezzo malcelato che si vendano bambini come scarpe su Zalando?

Sono domande che in moltissimi si fanno allo stato attuale. Ma c’è l’art.4, sul pluralismo delle idee e libertà delle scelte, che dovrebbe fugare questi dubbi e recita: “Ai fini della presente legge sono fatte salve la libertà espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. 

Tuttavia, non è chiaro se il rigetto dell’utero in affitto o l’idea contraria all’indottrinamento LGBT dei piccolissimi a scuola possa essere incluso fra gli atti discriminatori sufficienti a meritarsi la galera

visto che il reato è costituito sulla individuazione più che di una condotta lesiva, del motivo discriminatorio.

All’ art.7, si sanciscono le modalità di Istituzione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia il 17 maggio, durante la quale sarebbero previste cerimonie, manifestazioni e iniziative scolastiche, senza modifiche all’orario lavorativo.

Ma quali sarebbero le attività scolastiche inerenti alla tematica e in che modo verrebbero trattate?

Affrontare il tema del genere e la percezione non è semplice, né di facile comprensione. A maggior ragione, se inculcato nella mente di un bambino ancora in fase di formazione embrionale, per cui potrebbe avere conseguenze non di poco conto sui suoi futuri comportamenti.

Non dovrebbe essere poi tanto irrispettoso, alla luce di ciò, affermare che i piccoli dovrebbero poter scegliere da grandi cosa vogliono diventare e cosa desidereranno fare del proprio corpo, senza indottrinamenti forzati e irrispettosi per un percorso di infanzia che tale possa definirsi. 

La giornata del 17 maggio avrebbe lo scopo di sensibilizzare le menti

di chi pensa che fare parte della categoria degli Lgbt possa costituire un problema. Addirittura, una malattia. Ma quanti, in Italia, nutrono davvero pregiudizi così pesanti nei confronti di coloro che beneficerebbero della legge Zan?

Secondo dati Istat, appare generalizzata la condanna di comportamenti discriminatori:

il 73% è in disaccordo col fatto che non si assuma una persona o non si affitti un appartamento per il fatto di essere omosessuali. Allo stesso modo, il 74,8% della popolazione non è d’accordo con l’affermazione “l’omosessualità è una malattia”, il 73% con “l’omosessualità è immorale” e il 74,8% con “l’omosessualità è una minaccia per la famiglia”. Invece, il 65,8% è d’accordo con l’affermazione “si può amare una persona dell’altro sesso oppure una dello stesso sesso: l’importante è amare”. Sui diritti civili, il 62,8% si dice assolutamente d’accordo che una coppia di omosessuali conviventi possa avere gli stessi diritti di una coppia sposata e più del 40% che una coppia omosessuale si sposi se lo desidera. Non molti, però, secondo fonti Istat, sono quelli a favore dell’adozione (circa il 20%) da parte delle coppie LGBT.

Eppure, in totale il 53% di omosessuali/bisessuali, secondo quanto affermato dagli intervistati, rischia di essere stato discriminato in diversi ambiti:

nella ricerca di una casa (10,2%), nei rapporti con i vicini (14,3%), nell’accesso ai servizi sanitari (10,2%) o in locali, uffici pubblici e mezzi di trasporto (12,4%).

Una piccola osservazione potrebbe non essere superflua: è probabile che la discriminazione sia pari al grado di posizione che si ricopre all’interno della società. Forse, anche all’età anagrafica: è probabile che un adolescente con le sue incertezze sia più vulnerabile rispetto a chi ha un saldo percorso alle spalle e un credito sociale e professionale importante.

Senza che ciò voglia essere in alcun modo una giustificazione ma un tentativo di analisi, la domanda resta:

Quanto realmente c’è bisogno di sensibilizzare i cittadini?

Certamente, stimolare atteggiamenti di rispetto e apertura attraverso media, incontri, dibattiti ed eventi è un’attitudine che mai si deve arrestare. Purché lo si faccia nel pieno rispetto delle idee di ognuno; senza stigmatizzazioni di chi dissente e vorrebbe spiegare perché; senza barricate politiche, sorde alle esigenze reali di chi in primis attraversa certi percorsi, pensando solo ad accaparrarsi una fette importante di elettorato.

Inoltre, il Ddl Zan rischia seriamente di emarginare gli Lgbt come una categoria di cittadini a sé stante:

Perché, a proposito, un individuo che sia cittadino di questo Paese ha bisogno di sciorinare con uno stendardo le sue preferenze sessuali allo Stato per essere tutelato? Non è già sufficiente studiare, vivere, lavorare e pagare le tasse in Italia per essere inseriti nell’ambito di tutela dell’art. 61 del Codice Penale, che prevede l’aggravante di reato per motivi abietti o futili, come quelli legati all’identità di genere o alla preferenza sessuale?

Non si capisce perché gli LGBT dovrebbero essere etichettati fra le “categorie fragili” da difendere, da parte di chi dice di sognare una società fondata sulla meritocrazia e sull’uguaglianza di diritti e doveri: chi ama una persona del medesimo sesso o sceglie di intraprendere un percorso più o meno effettivo inerente al proprio genere non ha niente di “difettoso”, “debole” o “diverso” rispetto ad altri cittadini e per tale ragione dovrebbe e vorrebbe, nella maggior parte dei casi, continuare a beneficiare delle stesse leggi, senza interferenze da parte delle istituzioni e senza inutili riflettori accesi.

Sarebbe tutto più semplice, se ogni forma di violenza venisse effettivamente condannata nelle sedi giudiziarie preposte e in tempi congrui, senza effettive distinzioni od etichette che dividono nel dolore e, di certo, non uniscono.

Può il Ddl Zan formare il pensiero di cittadini aperti e rispettosi verso l’omosessualità, la disforia di genere o il cambio di sesso?

Torna in mente il caso della giovane Malika, di Castelfiorentino, recentemente ripudiata, cacciata di casa e obbrobriosamente insultata dalla madre dopo aver fatto coming out sul suo amore per una coetanea: basterebbero, in questo caso, le multe o la galera per far comprendere alla mamma il dolore violento provocato alla figlia, nonché ad affinare il suo pensiero sulla libertà di amare? È sufficiente un provvedimento costrittivo di poche pagine per infondere un cambio di cultura?

Afferma Luciano Moia in un articolo recente su Avvenire:

“Nel concetto di identità di genere, fuori e lontano da strumentalizzazioni e semplificazioni improprie, e in un modo che il legislatore non sta cogliendo né rendendo chiaro, c’è un dolore che segna la carne viva delle persone.” 

Ancora, su editorialedomani.it , Walter Siti scrive: “Un gay vecchio stampo non si accontenta del Ddl Zan.”

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Mari Cortese

Mari Cortese

Mari Cortese docente, redattrice e content creator per i social. Appassionata di enogastronomia, tradizioni e arti visive.