26 Aprile 2019
Calcio, la Serie A non mantiene le promesse antirazziste
La massima espressione del calcio italiano per club, la Serie A, è accusata di non mantenere le promesse antirazziste, e finisce che assieme alla Lega anche la Federcalcio fa una figuraccia internazionale. Intanto il giudice sportivo prende tempo in merito ai comportamenti dei tifosi della Lazio.
Una barzelletta chiamata Serie A
Siamo alle barzellette nel mondo del calcio italiano, dove i massimi organi che gestiscono e governano nel Belpaese il gioco più bello del mondo stanno a guardare le schifezze che avvengono in campo, fuori e sugli spalti. Impotenti, o forse non curanti della gravità di gesti che squalificano senza se e senza ma tutto l’ambiente calcistico tricolore, allo sbando oramai da anni. Stiamo parlando della vergogna del razzismo, degli buu sugli spalti. Prima, il 26 dicembre per Inter-Napoli il caso di Koulibaly, sbeffeggiato ed insultato da urla razziste. Grazie alla telecronaca quelle urla le hanno sentito fino a Tonga (E non erano pochi visto il volume con cui si sono udite in Tv ndr.), ma chi era a bordo campo e solo loro, forse non le hanno sentite e non ha fatto nulla.
Il giudice sportivo prende tempo
Ora gli altri insulti razzisti da parte parte dei tifosi laziali contro Bakayoko. Non da parte di qualche decina di tifosi, ma da tutti i supporter laziali presenti a San Siro. Nessuno si è dissociato, nessuno . Il giudice sportivo, Alessandro Zampone, intanto prende tempo in merito al comportamento dei tifosi della Lazio a San Siro. Con tanti video che ci sono in rete a testimonianza di un fatto palese, su cosa si riserva dovrà pure spiegarlo prima o poi. Tra la sua decisione e i buu razzisti ci sta la finale di Coppa Italia e una squalifica per i supporter biancoazzurri. Molto poco probabile in Italia.
Dal caso Acerbi ai fatti di Bergamo
È vero che stiamo parlano dello stesso Bakayoko, che uno stinco di santo non lo è di certo dopo l’uscita dal campo con Kessié tenendo in mano la maglietta di Acerbi come trofeo di guerra. Ma di che stiamo parlando? Dove stanno la disciplina, il buon gusto e l’educazione? Lo stesso Acerbi che smorza le polemiche, Bakayoko va a “piangere” e la società addirittura lo difende (“Gesto innocente” dice il Milan in un comunicato). Ma smettiamola. È ridicolo tutto ciò e in tutto il mondo lo sanno. Punizione, alias squalifica e multa, poi tutto è apposto. Così un altro che fa la stessa idiozia sa che pena gli tocca. Lo stesso discorso per le curve che sembrano riempire gli stadi per fare slogan politici e razzisti e fare danno. Come ieri sera a Bergamo. Un pre partita da paura con 12 agenti feriti vari fermi e dopo la partita fitto lancio di bottiglie contro le forze dell’ordine. Questa volta niente morto per fortuna. A casa.
Schiavi davanti ad un Dio minore
Arriva poi il politico di turno a fare la morale o a discolpare il “povero ragazzo” oppure a dire “non esageriamo“. Intanto la Serie A è una farsa. Non solo dal punto di vista tecnico, ma anche da quello morale. La politica stia fuori dai campi di gioco. Toglietevi quelle magliette con su scritto “No to Racism“. Anzi non indossatele proprio. Non si combatte il razzismo con le magliette, cari giocatori e cari presidenti di Lega e Federcalcio, ma con delle regole, che poi vanno applicate. Quelle regole che in Italia è sempre maledettamente difficile da applicare, anche nel calcio, quanto mai dominato da audience, che porta sponsor, che mettono denaro, e il carrozzone va avanti ai piedi di un Dio minore.
Fare: “L’Italia rappresenta un grande problema”
Poi arrivano quelli del Fare, un’associazione di gruppi internazionali che combatte il razzismo nel modo del calcio. Il loro presidente Piara Powar dice al Times: “Non crediamo che possa cambiare questa situazione. Abbiamo già sentito in passato simili promesse, ma le sanzioni e punizioni fin qui adottate si sono dimostrate inconsistenti. Il nostro appello ora è rivolto a Uefa e Fifa affinché assumano speciali misure. Per noi l’Italia rappresenta un grande problema“. Che umiliazione per la nostra storia e la nostra cultura.
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