04 Febbraio 2019
La guerra dei vaccini: siete davvero informati sull’argomento?
Siamo assurdamente costretti a tornare a ribadire ciclicamente l’importanza di una conquista fondamentale della medicina moderna, come se ogni mese occorresse difendere l’utilità degli antibiotici, dei trapianti, o dell’anestesia. Eppure è quanto accade, sempre più spesso, con i vaccini, ora che gli effetti di malattie, debellate proprio grazie a loro, non sono più visibili sulla popolazione. Sono ancora oggi parecchie le menzogne da smentire necessariamente sulle vaccinazioni: vediamo in questo articolo le più comuni.
La medicina non è un’opinione
Tanto per cominciare la decisione di quali siano le malattie dalle quali è necessario immunizzarsi non è una questione numerica; la decisione di introdurre l’obbligo e per quali malattie farlo è puramente di politica sanitari: spetta al Ministero della Sanità che può chiedere parere al Consiglio Superiore di Sanità. La scelta cade su quelle malattie che rappresentano, per varie ragioni, una priorità sanitaria: il Ministero ha autonomia decisionale e si basa sulle evidenze e sui dati disponibili. Inoltre, se le vaccinazioni imposte sono 10 (difterite, tetano, pertosse, poliomielite, haemophilus influenzae, epatite B, morbillo, parotite, rosolia e varicella), le iniezioni effettive sono due. In pratica sono due vaccini, in quanto le prime sei malattie sono coperte da un vaccino esavalente e le ultime quattro da un vaccino quadrivalente – o, in alternativa, trivalente più una terza vaccinazione singola contro la varicella. Queste dieci vaccinazioni, in Italia, rappresentano solo una parte dell’offerta vaccinale per l’infanzia. Altre vaccinazioni non sono obbligatorie, ma non per questo sono meno importanti, come pneumococco, meningococco, Papilloma Virus Umano, rotavirus.
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Una questione geografica
Uno degli spauracchi più spesso agitati accosta il timore di malattie al tema dell’immigrazione. Il problema dell’immigrato che porta le malattie non esiste. Nel momento in cui si entra nel nostro Paese i controlli sono stringenti. Non solo: le popolazioni immigrate accettano le vaccinazioni molto più facilmente delle popolazioni residenti. Può esistere il caso di una famiglia immigrata senza copertura sanitaria che viva in condizioni di semi-clandestinità e abbia copertura una vaccinale più bassa, ma questo non è un problema di accettazione: in questi casi è il sistema sanitario che non riesce a identificare e raggiungere queste situazioni. Da scartare è anche l’idea che infezioni esotiche e dal potenziale pandemico possano spostarsi via mare, portate da rifugiati in fuga. Le pandemie si muovono con i flussi migratori, è vero, ma di certo non con le barche dei clandestini. La popolazione che viaggia coi barconi ha superato una “selezione naturale” impietosa e ha un livello di salute più alto della media: sono persone sopravvissute a un viaggio nel deserto di settimane, sufficiente a superare il periodo di incubazione di qualunque malattia infettiva. Se qualcuno dovesse avere morbillo o la varicella, per esempio, di certo non li porterebbe in Italia: gli passerebbe prima. In questo senso, ad arrivare è la popolazione più sana. Altre malattie, come la tubercolosi, sono invece oggetto di screening in Italia.
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Un altro tema oggetto se non di disinformazione quanto meno di superficialità riguarda il ruolo degli operatori sanitari nella trasmissione delle malattie dalle quali ci si vaccina. Sempre più spesso, infatti, i casi di morbillo riguardano proprio operatori sanitari e personale che lavora in ambito ospedaliero. Perché accade? In Italia ci sono tanti adulti di 30, 40 e 50 anni che non hanno mai avuto il morbillo e che non sono stati vaccinati da bambini. Se un quarantenne lavora in ufficio non ha grossi problemi, ma se è un operatore sanitario è maggiormente esposto all’infezione, e può trasmettere a sua volta la malattia alla popolazione con cui entra in contatto. Si tratta fondamentalmente di un problema anagrafico, che si aggiunge al fatto che tra gli operatori sanitari (come anche tra gli insegnanti) non c’è mai stata una politica di vaccinazione attiva, e non si è mai pensato di offrire vaccini a quarantenni.
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Inversione di tendenza
Come possiamo migliorare le cose? Il confronto in Internet si presta facilmente alla polarizzazione di opposte posizioni: rispondere punto per punto a chi ha già un’opinione molto netta spesso non serve a niente. Anzi, rischia addirittura di risultare controproducente: è un fenomeno noto in psicologia come backlash effect, ossia “questo mi rafforza nella mia convinzione”. Piuttosto, dobbiamo metterci nei panni di quelle persone che su Internet si avvicinano al tema vaccini in maniera neutrale, ossia la maggior parte della popolazione, e rivolgerci a loro: è importante fare in modo che, statisticamente, la gente trovi le pagine che danno una buona informazione. Un ruolo fondamentale è affidato a figure di mediazione che già esistono, ma che sempre di più vengono delegittimate: Puntare sui medici di famiglia, per esempio, e fare in modo che chi ha dubbi in tema di salute non vada a cercare su Internet, ma si rivolga a loro. Si sta già facendo qualcosa – per esempio con l’iniziativa dell’ordine dei medici Dottore, ma è vero che…? Tuttavia non si può puntare soltanto sulla comunicazione istituzionale: bisogna dialogare con associazioni di genitori, famiglie, e persone che non abbiano necessariamente a che fare con il governo.
Dott. Luca Ferlito
ferlitoluca@gmail.com
Cell 3334472360
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