17 Dicembre 2018
Mentire al proprio medico: controproducente e irrazionalmente appagante
Secondo uno studio effettuato dall’università dello Utah, sempre più frequentemente i pazienti tendono a mentire al proprio medico. Questa pratica sembrerebbe non avere alcun senso, perché offre al medico informazioni sbagliate sulla storia clinica del paziente e di conseguenza rende difficile se non impossibile aiutare l’assistito. Dunque perché mentire, pur sapendo che questa abitudine è controproducente nei propri confronti? Vediamo insieme quali contorti meccanismi scattano nella mente del paziente che racconta bugie al proprio dottore.
Le ragioni di questa follia
Per quale motivo si dovrebbe mentire durante una visita, nonostante sia chiaro il danno che ne può derivare? A quanto pare la motivazione principale è rappresentata dalla paura di deludere il medico. Al secondo posto, il timore di scoprire condizioni cliniche preoccupanti: come a dire “meglio ignaro, ma felice”. E così assistiamo sempre più spesso alle tipiche scene in cui il paziente, all’esplicita domanda rivoltagli, dimezza intenzionalmente il numero quotidiano di sigarette fumate, nega la propria abitudine al consumo di caffè, alcol o cibo, o ancora peggio sminuisce una propria condizione patologica: “Lei soffre di diabete?” “Ma no, giusto un po’…”. Ad ogni modo, oltre al danno, la beffa. Nei rari casi in cui il medico colpito dalla bugia non abbia un occhio di lince tale da smascherare il mentitore, restano gli esami di laboratorio e quelli strumentali a lavorare dalla parte della verità. Qualora non sia l’odore di fumo o di alcol, o la scarsa forma fisica di chi dice di seguire una dieta sana a svelarci come stanno realmente le cose, i risultati di un prelievo, di una radiografia o di un elettrocardiogramma possono raccontarci tutto della realtà dei fatti. Questo strano fenomeno riesce a spingersi anche più in là. Il paziente che mette in atto questa pratica non ha interesse ad approfondire la condizione patologica che il medico gli prospetta, non chiede spiegazioni, riceve informazioni alle quali non è interessato e simula tranquillità. I motivi di questo rapporto incentrato su tutt’altro che la chiarezza non dipendono però solo dal paziente. Sembra che anche il clinico abbia le sue colpe, che risiedono talora nel suo atteggiamento. Alcuni medici vengono percepiti come giudicanti, distributori di giudizi negativi piuttosto che di consigli. Piuttosto che spingere l’assistito a confessare, dicono alcuni pazienti, bisognerebbe improntare il rapporto medico-paziente a una maggior incoraggiamento verso la sincerità e la comunicazione.
Fenomeno intercontinentale
Anche in Italia la situazione appare simile al resto del mondo. Gli studiosi sottolineano che il rinforzo positivo per questo tipo di menzogna è rappresentato dal desiderio di piacere e di essere valutati in maniera positiva. Ciò è conforme al profilo del paziente mendace, che in genere è giovane e con poca autostima. In che modo si può agire per debellare questa pratica di scala mondiale? E’ chiaro che l’unica via da seguire è rappresentata da un incremento dell’educazione comunicativa, sia da parte del paziente che da parte del medico. Se è vero che la capacità al dialogo e l’inclinazione alla sincerità dipende soprattutto da fattori caratteriali personali, è altrettanto vero che l’informazione in tal senso può aiutare.
E’ fondamentale formare dei professionisti in grado di dialogare, come negli ultimi anni si sta cercando di fare attraverso la formazione in tutte le università italiane, così come è fondamentale che il paziente prenda in mano la propria razionalità durante una visita dal proprio medico, rendendosi conto di quanto sia controproducente nei propri confronti la menzogna. E’ ugualmente importante la quasi assenza di coinvolgimento emotivo sia da parte del medico nei confronti del paziente che viceversa, il che rende più semplice la comunicazione, anche di notizie a volte spiacevoli, e praticamente nullo il desiderio di farsi apprezzare come persona da parte dell’assistito.
Che faccio, glielo confesso?
In definitiva è perfettamente inutile che il paziente menta sulle sigarette quando invece l’odore di tabacco si sente benissimo. E allo stesso modo è comprensibile che tema un giudizio negativo da parte del medico, specie se questi si presenta come particolarmente supponente e giudicante. Ma per questo fenomeno non esiste terapia, o meglio non terapia farmacologica: l’unico lavoro da fare è quello su se stessi, impegnandosi verso una maggiore razionalità da parte del paziente, e una maggiore capacità di comunicazione e accoglienza da parte del medico.
Dott. Luca Ferlito
ferlitoluca@gmail.com
Cell 3334472360
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